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domenica 4 dicembre 2016
La risonanza - Capitolo 3
Capitolo 3
Terapia d'amore
Teo vide il vassoio scivolare tra le sbarre e si affrettò a prenderlo dalle mani dell'infermiere. Non parlava molto del cibo, ma come odiarlo?
Persino il purè che gli servivano da quelli che sembravano secoli a questa parte, grumoso, pastoso sopra la sua lingua come sabbia bagnata, gli mancava e cominciava ad attenderlo con ansia e pazienza.
Aveva fame. Si chiese se un hamburger si definisse tale se fosse stato composto sia di carne che di plastica, rivoltando il pezzo marrone sotto la sua forchetta bianca di plastica. Si erano scordati di togliere la pellicola. Ne assaggiò un pezzo con tutta la plastica, e si rassegnò a togliere la parte esterna se non voleva rimpiangere quel pasto.
Una volta avuto il cibo, i suoi sensi si calmarono.
“E se la mia seconda voce fosse qui stesso?” Si domandò.
Sarebbe stato molto più semplice cercare di applicare i suoi studi se non avesse dovuto chiedere ad una persona lontana di venire. Non conosceva personalmente tutti i pazzi dell'Istituto, anche se non se ne ricordava alcuno particolarmente degno di nota.
Lo eccitava l'idea che qualcun altro si sarebbe unito a loro tra non molto: aveva sentito che doveva essere dimesso dall'ospedale, e poi sarebbe arrivato un nuovo internato.
Non era difficile capire chi: bastava fare due più due.
Meglio dire “ragionamento logico”. Che brutta la matematica.
Matthew Brown era un infermiere strano, molto strano. Ad esempio, Teo non aveva potuto fare a meno di notare il modo in cui praticamente sbavava dietro Will Graham quando quel caro ragazzo era stato mescolato tra i meri pazzi. Un errore comune, annuì tristemente Teo.
Era strano come pendesse da ogni parola del prigioniero.
Poi a Will non andava giù il dottor Lecter, che a suo parere era un grande peccato in quanto amico della signorina Bloom. Matthew sparisce. Lecter finisce in ospedale, lo dice quella stupida piccola televisione dell'infermiere un attimo prima di passare a quella telenovelas che gli fa venire voglia di depilarsi con le mani pur di distrarsi. Qualcuno deve finire in un ospedale per criminali insani.
Cercò di ricordare il timbro di voce0 di Matthew Brown: avrebbe potuto fargli da voce di supporto? Avrebbe voluto? Oh, se solo avesse sbavato dietro lui come aveva fatto per il signor Graham!
Anche se forse, a giudicare da come erano fatte le sue orecchie, il signor Brown era probabilmente un miglior ascoltatore piuttosto che un cantante.
Qualcuno nella cella accanto a Matthew rise. A causa della facilità con cui veniva manipolato da Teo, Sammy era stato trasferito in un'altra zona dell'ospedale e al suo posto era stato messo quello che tutti definivano “l'uomo dei funghi”. Eldon Stammets, un vecchio farmacista dai capelli grigi, occhi di colore indefinibile e un'espressione perennemente triste, si aggrappò alle sbarre della sua cella e cercò di sporgere la testa senza risultato
«Anche tu?» domandò
«Anche io cosa?» cercò di capire Teo
«Ho sentito parlare degli infermieri, sei andato a trovare Will Graham. Ti è stato detto che quel Graham poteva capirti. Che ti avrebbe aiutato. E invece è stato un fiasco! Un totale fiasco, vero?»
«Ah, no. Mi ha capito» Teo annuì «Solo che non aveva le capacità per aiutarmi. Quindi ha gentilmente rifiutato. E va bene così, troverò qualcun'altro»
«Cosa?».
Le rughe intorno agli occhi di Eldon si fecero più fitte mentre la sua tristezza diventava più profonda e devastante. Non si aspettava quella risposta, si aspettava un compagno di cella distrutto, a pezzi quanto lo era stato lui quando la comprensione gli era stata rifiutata da Will Graham, l'uomo che gli aveva sparato in una spalla e lo aveva fatto incarcerare. Avrebbe voluto essere furente, bruciante di una rabbia alta come le fiamme dell'inferno, e invece era solo tanto triste e si sentiva solo.
«Potresti essere tu, quel qualcuno» Disse Teo, approfittando di quel poco sconforto che riusciva a intravedere fra le rughe della fronte dell'altro prigioniero, cercando anche lui di sporgersi dalle sbarre «Potresti aiutarmi»
«A fare cosa?» piagnucolò Eldon Stammet
«Potremmo connettere le nostre voci in un canto che...»
«Si?» lo esortò l'altro, con un briciolo di speranza
«Ah, no, niente» Teo si ritrasse lentamente in fondo alla cella «Non mi piace la tua voce, lascia stare, non fa niente».
Le speranza di Eldon di sentirsi meno solo furono distrutte come una noce sotto una pressa per vecchie automobili. Teo non se ne accorse neanche, ma a lui che importava? Era troppo preso a mettere a punto un piano per trovare la persona perfetta per il suo esperimento. E se avesse messo un annuncio su un giornale? Il Tattle-crime era letto da ogni sorta di persona, simile o dissimile a lui, e non sarebbe stato troppo difficile trovare qualcuno disposto a lavorare insieme a lui su un potere in grado di controllare la realtà.
Teo chiese a gran voce che gli fossero portati carta, penna e una busta, battendo ossessivamente sulle sbarre con il palmi delle mani aperte. Ovviamente, per evitare una nuova sommossa, il folle fu accontentato e in breve si ritrovò ad iniziare a scrivere un annuncio da pubblicare sul giornale.
“Coraggiosi lettori di Tattle Crime...”
“Coraggiosi lettori di Tattle Crime...” Lesse a bassa voce il dottor Lecter, seduto nel suo ufficio, con il tablet in mano e tutte le luci spente eccetto la lampada da lettura sulla sua scrivania. Di solito gli annunci pubblicati sulle pagine online di Tattle-Crime.com erano quantomai noiosi, o stupidi, o entrambe le cose. Questo aveva un pizzico di follia che lo fece sorridere, sollevando quasi impercettibilmente un angolo della bocca.
“Non sono una persona che normalmente pubblica annunci, ma si fa di necessità virtù ed ecco qui il mio appello. Quello di cui ho bisogno è una persona coraggiosa, va bene anche che sia una donna, ma preferirei un uomo per il particolare timbro vocale, che tenti con me un'impresa che sconvolgerà il mondo così come lo conosciamo e donerà ad entrambi un potere inaudito. Prometto anche conversazioni interessanti. Se avete una bella voce malleabile, voglia di vedere cose straordinarie e qualche conoscenza del mondo della musica, contattatemi all'indirizzo che indicherò di seguito, o venitemi a trovare al Baltimore Institute for the Criminally Insane chiedendo di me. Non temete, una volta che sarete arrivati lì gli infermieri stessi potranno rassicurarvi sulla certezza che non voglio uccidervi né urinare su di voi.
Con musicale cordialità
-Il Folle Teoeoeoeo”.
Seguiva l'esatto indirizzo dell'ospedale, il contatto e-mail di Frederick Chilton (chissà come l'aveva ottenuto) e il numero di cella di Teo: 166.
Hannibal conosceva esattamente che genere di pazzo fosse Teo, sebbene non gli avesse mai parlato di persona: Alana lo aveva più e più volte ragguagliato su quello che era il degente più interessante e più rumoroso dell'ospedale, il piantagrane con la bocca larga, il genio della sommossa. Decise che avrebbe risposto all'appello, giusto per avere un'ora di svago diversa dal solito. E perché, in fondo in fondo, c'era qualcosa che lo solleticava gradevolmente all'idea che avrebbero potuto inseguire quasi certamente irraggiungibili poteri immensi.
Con il pollice scorse la pagina lentamente, per controllare se altri annunci analoghi erano stati pubblicati, ma a parte la ricerca di un cadavere scomparso non c'era nulla di interessante.
Spense il tablet e rimase quasi completamente al buio, con la luce giallastra della lampada da tavolo che tingeva la sua faccia definendola con pennellate grottesche. Il suo respiro calmo era tutto ciò che si udiva: Baltimora si era come fermata.
Qualcuno bussò alla porta e Hannibal smise di respirare, si alzò in piedi e, in apnea, raggiunse la porta. Quando finalmente aprì, si concesse di tirare un profondo respiro e, finalmente, sorridere mentre con una mano accendeva la luce.
Ore 7:30 del pomeriggio, appuntamento con Will Graham. Era ora di entrare nella mente del miglior uomo che avesse mai conosciuto e ogni volta era una differente, eccitante, sorpresa.
Il signor Graham si era pettinato e aveva messo una camicia rosa ben stirata. Non sorrise di rimando a lui, mosse solo la bocca come se stesse masticando qualcosa e poi sputò fuori un «Salve, dottor Lecter»
«Prego, accomodati Will»
«Grazie».
Graham entrò con passo sicuro, impadronendosi con lo sguardo dell'intera stanza. C'era qualcosa di ostentatamente rapace nel modo in cui a grandi passi misurava lo spazio, girava intorno alla scrivania e solo alla fine si sedeva sulla poltroncina di pelle nera destinata al paziente.
Le pareti rosse dello studio sembravano grondare la personalità di Will, adesso.
Inspirando profondamente l'odore del dopobarba del suo paziente, Hannibal chiuse la porta e lo raggiunse, sedendosi sulla poltrona di fronte a lui.
Quello non era il Will timido che di solito incontrava la mattina, quello era un uomo che si era levato la maschera e aveva rivelato che sotto di essa si nascondeva un lupo affamato ed estremamente intelligente.
«Allora» Disse Hannibal «Come ti senti, Will?»
«Mi dica, dottor Letter... ha mai pensato di iniziare queste conversazioni in maniera diversa? Senza chiedermi come mi sento»
«Certo» confessò immediatamente Hannibal, con l'accento un po' più pastoso che era tipico di quando era divertito «Ho pensato di dirti che ancora non hai cambiato dopobarba e che questo ha un profumo davvero, davvero invasivo»
«Temi che possa marcare il tuo territorio?».
Will lo guardava dritto negli occhi. Niente scherzi qui, siamo due lupi famelici. Hannibal, però, non era d'accordo sul doversi scontrare come due cani su un osso: la vera dominanza è nella calma.
«Senza dubbio, Will, mi piacerebbe che i miei odori meno favoriti non circolassero nel posto dove lavoro. E questo dopobarba è davvero... infantile. E penetrante»
«Non cambierò dopobarba»
«Questo si era compreso. Anche i muri lo sanno» Ormai puzzano anche loro del tuo dozzinale dopobarba «Ho solo voluto darti un altro spunto di conversazione. Ieri hai parlato con Teo...»
«Si, e ne abbiamo già parlato nella seduta di ieri» tagliò corto Will
«Si, ma mi è accaduta una cosa molto curiosa, quindi vorrei parlarne di nuovo. Ma immagino che parleremo di cosa vuoi tu, Will. Allora... di cos'è che vorresti parlarmi?»
«Di Alana Bloom»
«Ah. Ottimo elemento di conversazione» Hannibal batté allegramente una mano sul bracciolo della sedia, concedendosi uno dei suoi rari gesti frivoli «La dottoressa Bloom è sempre un eccellente argomento. Provi ancora qualcosa per lei?»
«Qualcosa?» Will sorrise amaramente, mostrando grossi denti bianchi «Chi non prova qualcosa per lei, dottor Letter? Il fatto è che, ultimamente, mi è più difficile rifiutarle qualunque cosa. E sono anche preoccupato per lei»
«Preoccupato per lei?»
«Si. Molto preoccupato»
«E perché mai?»
«Perché si avvicina una partita a scacchi molto particolare, Dottore. La partita finale, e tu ci sarai. E tu sei pericoloso»
«Temi che io possa farle del male, Will?» Hannibal batté le palpebre lentamente. Si sentiva insieme offeso e onorato da tanta considerazione e qualcosa dentro di lui, forse un istinto animale, danzò di gioia nel sentirsi pericoloso, nel far provare paura a Will Graham.
«Si» Will digrignò i denti «Non posso estorcerti la promessa di non farle del male, vero?»
«Certo che non puoi»
«Già. Certo che non posso. Però io tengo ad Alana e tu... sei come un avvoltoio che gira in cerchio sopra la sua testa. Questo mi fa paura, Hannibal».
Hannibal. Will lo aveva appena chiamato con il suo nome, la cosa era grave, grave, grave. Il dottor Lecter gongolò, ma, fuori, la sua faccia rimase neutra.
«Non dovresti temere così tanto, Will. Non posso affatto prometterti di non farle del male, perché se lei mi aggredisse, ad esempio, dovrei difendermi. Se lei mi puntasse contro una pistola, se lei mi aggredisse con un coltello, io dovrei trovare il modo per neutralizzarla. Però provo un grande affetto per lei» fece una pausa, le dita della mano destra che si muovevano lentamente come per modellare qualcosa da un pezzo di creta «Io la amo, Will. Forse più di quanto tu possa mai amarla. E posso fare per lei cose che tu non puoi fare. Dopotutto lei ha scelto me, ci sarà un motivo. Pensi di poter amare, Will?».
La domanda prese del tutto alla sprovvista Graham, che si aggiustò sulla sedia cercando di non sembrare nervoso. Sapeva di poter amare, ma non sapeva perché il dottore gli aveva fatto quella domanda, né sapeva esattamente quali parole utilizzare per rispondere. Così lo fece molto, molto lentamente.
«Io ho... otto cani. Ho molto affetto da donare. Sono tutti stati randagi, prima che li raccogliessi, dottore»
«Oh, ma amare un cane è così facile! Sono adorabili e pelosi e, oh, ti restituiscono il loro amore con generose leccate. Tutte cose che la dottoressa Bloom non fa. Era delle persone che parlavo, Will. Pensi di poter amare un uomo o una donna? Anche solo come un fratello o una sorella? Tu pensi di avere questa importante, ma ahimè sottovalutata, capacità?».
Nonostante si fosse imposto un ferreo controllo, Will si sentì arrossire un po'.
«Tu, allora, credi di essere in grado di amare?» Domandò di rimando, cercando di riguadagnare terreno
«Si, e con tanta passione e intensità da stare male, caro il mio Will» Hannibal parve sincero quando lo disse «Con il dolore e con la follia. E posso farlo anche con gli animali. Non credere che io non abbia mai avuto un cane. So che amarli è facile. Ma è con le persone che devi soffrire e io non ti vedo capace di sopportare così tanta sofferenza. Non dopo che il mondo ha cercato di abusarti e sgretolarti come è accaduto»
«Penso che tu stia esagerando, riguardo a questa storia del mondo che cerca di sgretolarmi e... e di abusarmi»
«No. Penso che abbiamo parlato molto poco dell'orfano che non ha mai avuto una vera casa perché suo padre continuava a trasferirsi. Del ragazzo che a scuola insultavano, perché era gracile e ombroso. Dell'uomo che vive da solo e che per vivere fa un lavoro che odia. Dell'amante che ha perso la sua amata perché lei ha scelto il suo psichiatra»
«Vuoi che io mi senta male per questo? Vuoi che pianga, che butti tutto fuori?» Will sorrise trionfale «Ormai sono molto oltre tutto questo. Tutto questo non mi tocca più, volo alto sopra i problemi e sopra le paure»
«È esattamente qui che volevo arrivare» disse Hannibal, inclinando un po' la testa da un lato e sorridendo quasi teneramente
«Ovvero?»
«Ovvero sei stato sgretolato dal mondo. Schiacciato da esso. Ma la tua scintilla vitale ha resistito e costruito intorno a sé una corazza splendida, rilucente, infrangibile. E questo sei tu, Will. Qualcun'altro avrebbe perso la partita, tu sei risorto invece. Ma quello che ci chiediamo adesso, avendo chiarito che indossi una corazza emotiva, è: questo nuovo Will è capace di amare? O ha paura che l'amore si infiltri fra le placche della sua armatura e lo distrugga dall'interno?»
«Non ho paura» mentì Will, sicuro
«Dovresti averne. Io ne avrei. L'amore è la forza più potente e distruttiva dell'universo e tanto distrugge quanto crea. Credo sia l'unica cosa in grado di far saltare in aria la tua corazza. E credo anche che sia l'unica cosa che renderti forte abbastanza da spogliarti di essa».
La tenerezza nella voce di Hannibal, i suoi gesti delicati, fecero ammutolire Graham per un istante. Ricacciò indietro le lacrime nel vedersi scorrere davanti scene che non voleva vedere. Ricacciò indietro con forza sovraumana il desiderio di alzarsi in piedi, attraversare la stanza e abbracciare Hannibal Lecter, poggiando la guancia sulla sua spalla, e sentirsi dire che tutto sarebbe andato bene, che nessun'altro sarebbe morto intorno a lui e che tutti lo avrebbero accettato per quello che era, non importa quanto diverso si sarebbe dimostrato.
Ma non lo fece. Arricciò il naso in una sorta di ringhio
«Questa conversazione non andrà a finire da nessuna parte» disse, stringendosi nelle spalle e cercando di non tremare né sussultare «Ritorniamo a parlare di Teo».
Hannibal annuì. Ci sarebbe stato tempo, per parlare d'amore. Prima o poi ci sarebbero arrivati.
«Parliamo di Teo. Sai che per ora sta cercando qualcuno per rimpiazzarti come aiuto per quel suo bizzarro esperimento con il suono?»
«Davvero?» Will contrasse la faccia in una smorfia «Non ha rinunciato?»
«È folle, ti aspettavi anche che rinunciasse?»
«No, ma non mi aspettavo che l'avrebbero lasciato continuare»
«Ha più potere un pazzo in una cella di quanto ne abbia un professore in un'aula»
«È una frecciatina al fatto che non mi piace insegnare?»
«No. È la verità. Anche se non tutti i folli hanno un potere così grande. Né tutti i professori ne hanno uno così...» Hannibal fece un gesto con la mano come se sfumasse un grande quadro.
Will sbuffò una risatina
«Non sono tagliato per insegnare»
«Si che lo sei. Non hai ancora trovato lo studente giusto, però»
«Lo studente giusto? Non è che devo sposarmelo. Devo solo insegnargli, qualunque studente va bene»
«Io ho scelto un solo studente nella mia carriera. È vero, non sono professore, ma sono stato un mentore»
«Ah si? Mentore? E di chi, chi era lo studente giusto?» Will sorrise, curioso
«Alana Bloom. Ero il suo mentore».
Quel nome aleggiò nella stanza per un istante. Will immaginò vividamente un giovane Hannibal, asciutto e allampanato, con i capelli un po' più lunghi, seduto al tavolino di un bar insieme ad una giovane e davvero bellissima Alana; entrambi leggevano da un libro di psicologia e si scambiavano frasi veloci. Ogni tanto ridevano.
«La conosci da così tanto tempo?» Will era sorpreso «Mi aveva detto che vi conoscete da tanto, ma così tanto...»
«Si. È cresciuta così tanto. Non di altezza» Hannibal scosse la testa «L'altezza è sempre la stessa. È piccolina. Stiamo di nuovo parlando di Alana»
«Oh, al diavolo, dottor Letter! Mi hai già detto che Teo vuole rimpiazzarmi, ora voglio solo sentirti parlare della dottoressa Bloom»
«Quando ancora non era una dottoressa» precisò Hannibal
«Quando ancora non era una dottoressa, si. Com'era?»
«Pensi che questo sia terapeutico, per te?»
«Si. No. Non mi importa, dottore. Voglio solo sapere quello che sai tu».
Lo psichiatra sospirò e si alzò per dirigersi verso la scrivania
«In effetti, condividere alcune esperienza giovanili con te potrebbe aiutarti a fidarti di più di me. E fidarti di più di me potrebbe aiutarti a rilassarti e a far si che un'eventuale terapia funzioni meglio»
«Una terapia... solo eventuale?»
«Non stai mostrando più alcun disturbo, Will» gli fece notare Hannibal, frugando nei cassetti alla ricerca di qualcosa «Queste sono diventate solo conversazioni di mantenimento. Sono qui per aiutarti tutti i giorni a rimanere in equilibrio. Ma non c'è più alcuna terapia da seguire»
«E ne sono davvero, davvero felice»
«Anch'io» lo psichiatra tirò fuori un vecchio album di pelle e ritornò alla poltroncina «Ecco qui. Ho delle fotografie»
«Davvero?» Will parve illuminarsi «Delle fotografie di voi, quando eravate studenti?»
«Certo. E le serbo molto gelosamente, perciò stai attento a non sgualcirle».
Hannibal allungò l'album verso il suo paziente e glielo posò fra le mani. Will lo prese delicatamente e passò i pollici sulla copertina bruna di pelle tesa, assaporando la sensazione delle cose antiche. Amava le cose antiche perché non potevano aggredirlo, ma solo divertirlo: quando la carica emozionale di un oggetto era sopita, perché gli eventi che lo influenzavano si erano esauriti molto addietro nel passato, Will poteva assimilarne la storia più distaccatamente, senza sentirsi toccato in prima persona da quegli eventi.
Aprì l'album e ne osservò la prima pagina, su cui campeggiava un disegno di una ballerina che danzava leggiadra intorno ad un mostro disegnato malissimo e pieno di denti anche dove non avrebbero dovuto essercene. Era firmato da Hannibal e Alana ed entrambe le firme erano un po' diverse da quelle che Will conosceva. Una didascalia vergata elegantemente recitava “La bella e la bestia, versione Birra e Vino”. Graham indovinò subito che Birra era il soprannome di Alana e Vino quello di Hannibal, e che lei aveva disegnato il mostro, mentre lui la ballerina.
Sorrise
«Eravate dei veri artisti»
«Oh si, specie Alana. Molto creativa»
«Oh si. Oh si» Will girò pagina «E qui dove siete?»
«In Grecia. Quello che abbiamo in mano è vero yogurt greco. Facemmo una gita con i nostri compagni, durante l'estate».
Nelle due fotografie incollate sulla pagina, Hannibal e Alana mangiavano yogurt in due locali diversi. Lui era quasi identico a come Will poteva vederlo nel presente, non aveva affatto i capelli più lunghi, anche se aveva meno rughe e un completo leggero a colore intero, marrone, senza cravatta. Alana portava un giubbino di pelle nero, pantaloni jeans e una sciarpa nera decorata a piccoli teschi viola. Aveva i capelli acconciati in maniera elaborata, con delle sottili treccine solo da un lato, ed erano più corti di come li portava adesso; matita nera le incorniciava gli occhi dandole un aspetto aggressivo, sottolineato dal sorriso che sembrava un ringhio.
«Oddio» Disse Will «Era una punk?»
«No. Solo una bulletta con la fissa per il metal»
«Era così diversa da oggi...»
«L'ho dovuta addestrare, per ingentilirla, ma sono sicuro che il rottweiler che era è ancora dentro di lei, addormentato e pronto a saltare fuori»
«I rottweiler sono cani molto dolci. Come lei»
«E sono anche molto forti»
«Alana è un rottweiler» disse compiaciuto Will, girando pagina.
C'era la foto di Alana con un cane. Un rottweiler. E Hannibal aveva in braccio uno spumoso volpino italiano bianco come neve.
Will si mise a ridere.
«E questi?» Chiese Graham, alzando lo sguardo su Hannibal. Lo psichiatra lo stava osservando con le mani in tasca, seguendo compiaciuto i movimenti del suo paziente.
«Eravamo ad una mostra canina, la nostra prima mostra insieme» Lecter estrasse una mano per indicare lo sfondo, un prato sotto i loro piedi e un vecchio muro alle loro spalle
«Sto scoprendo parecchie cose oggi, quindi mi sento in dovere di chiedere: i cani erano vostri?»
«Oh, no. Sono partecipanti alla gara, e conoscevamo i loro padroni, ma non sono nostri»
«No?» ripeté Will, sforzandosi di non suonare deluso «Sembrano adatti».
Hannibal inclinò appena la testa «Un volpino?»
«Si. Ed un rottweiler. Il volpino è un cane di origini italiane, che si usava accompagnare per la guardia a cani di grossa taglia» e avvicinò il polpastrello ad Alana e al cagnolone al suo fianco che si rifiutava di guardare in telecamera, senza toccare la foto «Il suo aspetto è adatto ad essere ritratto in scene di vita di una corte sfarzosa. Nonostante questo, pochi sanno che è un cane longevo e di costituzione molto robusta, e che è sotto tutti quegli strati di pelo bianco e soffice nasconde un bel caratterino».
Hannibal osservò la foto «Finora è il paragone che hai fatto su di me più...»
Will rise «Si, lo so. Pelo soffice. Siamo un volpino e una mangusta, piccoli e tenaci»
«Ho un bel caratterino, William?»
«Non sai quanto». L'uomo cambiò ancora pagina, gli occhi blu che sondavano la pagina.
La foto seguente era molto mossa, tanto che l'immagine era ripresa in obliquo. Alana era seduta al bancone di un bar, abbracciando una ragazza con i capelli castani e il viso pieno dall'aria malandrina dall'altro lato del bancone. Hannibal aspettava un po' discosto, guardando la donna con espressione del tutto neutra.
Era difficile capire da una foto cosa stesse pensando, ma Will indovinò che la ragazza dall'altro lato del bancone non gli piaceva.
Scarabocchiato all'angolo della foto c'era scritto “Primo giorno di Papara Gialla. Congratulazioni!”.
«Papara gialla?» Chiese Will «Il responsabile della foto sembra ubriaco»
«Era piuttosto ubriaca, in effetti»
«Mi illustri la situazione?»
«Alana aveva un'amica che la distraeva dallo studio e voleva aprire una taverna. Qui le ragazze stanno festeggiando perché c'è riuscita, e il bar si chiama “La Papera Gialla”, visto che la giovane Marta aveva adottato un anatroccolo»
«Uh, che gioventù scalmanata» lo punzecchiò Will senza calore, assorbito dai ritratti. Combinando il tono di voce di Hannibal all'espressione nella foto, ora era certo che Marta, qualunque cosa avesse fatto, non gli andava proprio giù.
La foto accanto era Alana con la fantomatica papera gialla. Era un pulcino minuscolo, dal piumaggio striato di scuro, che lei teneva su entrambe le mani a coppa, sorridendo con gli occhi alzati in telecamera. Will pensò che era bellissima così, e che avrebbe voluto avere la foto per sé.
«Yallow. È il nome della papera» Contribuì Hannibal.
Will annuì «Marta è ancora tra noi?»
«Temo di si. E persino Yallow»
«Quanti anni ha quella papera?»
«Non abbastanza da morirne e attacca ancora le persone che non le piacciono. Le oche vivono molto più a lungo di quanto si pensi, qualcuno dice fino agli ottant'anni, sebbene io sia piuttosto scettico. Un uccello che vive ottant'anni sarebbe una cosa piuttosto particolare, non credi?»
«Sai che le carpe possono vivere fino a duecento anni?» Will girò pagina «Non vedo perché un'oca non dovrebbe poter vivere ottant'anni. A parte per il fatto che di solito le ingozzano di cibo grasso fino ad ucciderle oppure le uccidono direttamente per mangiarle»
«Spero tu non sia contrario alla carne di oca, perché io la trovo deliziosa»
«Non ne dubitavo».
Le nuove fotografie ritraevano un giovane Hannibal in uno striminzito costumino da bagno blu sdraiato in spiaggia, in posa provocante, mentre Alana, in bikini arancione, gli lanciava addosso della sabbia ridendo. Will si leccò involontariamente le labbra. Alana aveva i capelli bagnati e il costume aderente, la sua pelle chiara sembrava risplendere di goccioline d'acqua.
Hannibal estrasse le mani dalle tasche per metterle dietro la schiena
«Qui siamo al mare. Ci andavamo con i fratelli di Alana, è uno di loro che ha scattato la fotografia»
«I fratelli di Alana? Tu li conosci?»
«Certamente. E anche abbastanza bene. Quanto alla madre di Alana, siamo ancora in buoni rapporti. Lei è certamente più anziana di com'era a quei tempi, ma se posso aiutarla in qualche modo, io lo faccio. Lei è una brava donna, molto simpatica, e devo confessare che mi ha insegnato qualche interessante trucchetto in cucina»
«Sembravi molto felice. Più felice di quanto tu sia ora»
«Ero molto felice, ma non quanto lo sono adesso. Ho solo imparato a mie spese che camminare con un sorriso perenne stampato sulle labbra potrebbe far pensare alla gente che sei uno psicopatico»
«Buon per te».
Will sentì una fitta di invidia all'idea che il suo vecchio psichiatra fosse così felice e amato, mentre la vita aveva donato a lui principalmente amarezza e delusioni: niente foto in spiaggia per lui, né yogurt greci, né una mamma, seppur surrogato, che gli insegnasse a cucinare.
«Avevi più peli di un terranova» Disse, per cambiare discorso e non lasciarsi sommergere dal dolore
«Ero giovane» disse Hannibal, in tono neutro
«E allora?»
«Ora ne ho molti di più».
Will non poté fare a meno di evocare la poco allettante immagine di un Hannibal cinquantenne con il petto ricoperto da un'ursina foresta di peli. Cercò di eliminarlo con un lanciafiamme mentale. Hannibal era un uomo estremamente curato, molto ben sbarbato e con un taglio di capelli perfetto, come poteva avere anche solo un paio di peli sotto quella camicia stirata e quella cravatta che da sola poteva costare più dell'intero vestiario di Will?
«Ah. Buon per te» Will sospirò, guardando un'altra fotografia dove Hannibal costruiva un castello di sabbia gigantesco ed elaborato ed Alana glielo distruggeva da un lato con un manganello.
Girò pagina. Ed ecco una fotografia a scuola, dove Hannibal, Alana e altre quattro persone che lui non conosceva posavano in aula, davanti alla grande lavagna sulla quale campeggiava una grande scritta bianca che recitava “I pazzi sono pronti a fare gli psichiatri”, con sotto il disegnino di un omino con i capelli tutti sparati per aria che grida “Sono prontooo!”.
Hannibal, con indosso uno di quei completi a tre pezzi che iniziavano a somigliare a quelli più elaborati che portava adesso, aveva un sorriso luminoso mentre stringeva sottobraccio Alana. Anche Alana portava la cravatta e un completo simile al suo, ma con una gonna al posto dei pantaloni, e cingeva i fianchi del suo mentore con un braccia, mentre con l'altro faceva il segno della vittoria. Altre due persone accanto a loro, un ragazzo biondo e una ragazza dalla pelle scura, si stavano baciando e l'ultima coppia, formata da due ragazzi, faceva finta di essere scioccata dal bacio.
«Guarda come eravamo belli» Sospirò Hannibal «Iniziavamo ad essere noi stessi. Sono stati i corsi di psicologia a forgiare il nostro stile e le nostre attuali personalità, so che sembra folle, ma è esattamente quello che è successo».
“Io vi vedo ancora molto, molto diversi da ora” Avrebbe voluto dire Will “Questi qui sono due cosplayer di Hannibal e Alana, non Hannibal e Alana. La cosa buffa è che non saprei spiegare il perché. Forse perché tu non eri ancora un serial killer e non dovevi nasconderlo a lei”.
Ma non disse nulla. Girò pagina.
Quattro scatti diversi ritraevano Alana che baciava un ragazzo che Will non aveva mai visto prima, con Hannibal che sullo sfondo faceva cose come battere le mani o reggere un cartello con scritto “Se la molli ti uccido”.
«Sembra che tu fossi molto presente nella sua vita. In tutti gli aspetti della sua vita»
«Sono stato per lei un mentore, e non solo scolastico»
«E poi la mollò?»
«No, lei mollò lui. Per questo fu risparmiato» replicò Hannibal giocosamente.
Will sorrise con un angolo della bocca, nonostante avesse preso seriamente la risposta.
«Come si chiamava?»
«Mark. Un nome comune»
«Ah, non meritava certo la nostra speciale Alana» affermò Graham, voltando ancora la pagina.
Hannibal sorrise. Era veramente compiaciuto, e questo, notò Will, gli dava una stranissima aria da predatore gentile. Che razza di binomio era?
Quello di una tigre.
Si chiese se Hannibal fosse divertito dallo spartirsi Alana. Prima che i suoi pensieri svoltassero su un sentiero pericoloso si concentrò sulle nuove foto. In una Hannibal aveva messo una tovaglia attorno alla gola di Alana e le stava acconciando i capelli concentrato. Alana sembrava serena, e leggeva una rivista di psicologia.
«Sul serio? Anche la tovaglia da barbiere paisley?»
«È una passione».
In quella dopo una donna bassa e pienotta dentro una camicia con le maniche alzate tirava le guance di Hannibal. “Ardua impresa” Pensò Will dando un'occhiata agli zigomi del suo psichiatra, già affilati come scogli in gioventù.
Aveva capelli castano chiaro e occhi azzurro slavato; la bocca piccola sorrideva con affetto.
Come sfondo avevano una cucina ariosa con la campagna che si intravvedeva dalla finestra, insieme ad un sacco di luce e una gallina che affacciava intenta. C'era una grossa ombra scura sulla foto che copriva il lato sinistro della foto e parte dei capelli di Hannibal.
«In questa Alana non c'è» Notò Will, cercando di estrapolare la situazione dalla foto
«Come no, eccola. Quello è il suo dito» rispose Hannibal, chinandosi verso di lui per evidenziargli la porzione scura della foto «Sta scattando lei la foto».
Will si concentrò ancora di più sulla donna.
«Quella è sua madre?» Chiese in un'improvvisa rivelazione
«Si. Siamo sempre stati in buoni rapporti»
«Quasi ti invidio dottore» ammise finalmente Will, dandosi un tono divertito
«È il vedere un atteggiamento materno nei miei confronti da parte di questa donna? Come ti fa sentire, Will?».
Will roteò gli occhi. Certo, era ovvio che il buon dottore ci si sarebbe buttato a pesce.
«Sono... Sorpreso» Rispose lentamente «Non ti ho mai visto come uno che gioca alla famiglia felice. Sembrava una versione piuttosto diversa quella con Abigail».
Il pomo d'adamo di Will sussultò. Abigail, la figlia che non aveva potuto proteggere. La figlia che avrebbe dovuto proteggere.
«Quello in cui ti ho visto non era niente di così... leggero. Hai basato le tue connessioni sulle sue debolezze, e in una certa misura, anche il contrario. Era più un castello di carte che una famiglia»
«Eppure godevamo della reciproca compagnia»
«È così?» scattò Will, rabbioso.
Hannibal non rispose subito. Lasciò raffreddare l'effetto della risposta dell'altro prima di replicare:
«Si. È così. La famiglia è un valore che stiamo riscoprendo in questi giorni, e ora più che mai, con una maggiore libertà di opinioni, il suo significato sembra variare da persona a persona. Cos'è che forma una famiglia? Su cosa si basa per te, Will?».
Will aggrottò le sopracciglia. Sembrava un testo scolastico. “Una volta ricevuto lo spunto da questa fotografia, scrivi le tue riflessioni. Che cos'è la famiglia? Perché è importante?”.
La differenza è che in un libro sono solo domande impiccione che non vuoi leggere alla classe, per uno psichiatra, specie questo, è più che naturale frugare nel tuo cervello.
«Una famiglia è un branco» Rispose, cautamente «Un gruppo di persone. O di animali. Generalmente della stessa specie, che condividono le risorse alimentari, lo spazio in cui vivono e rapporti interpersonali»
«Una bella risposta. Distaccata. Impersonale. Un ragionamento da manuale, per qualcuno che non ha mai avuto una famiglia»
«Ed è così, dottor Letter. Esattamente così»
«Ed è triste, non è vero?».
“Se parla di nuovo d'amore” Pensò Will “Io... che faccio io? Gli do un pugno? Mi alzo e me ne vado? Mi metto a piangere? Che cosa dovrei mai fare, se parla di nuovo d'amore?”.
Hannibal notò immediatamente la sua espressione tormentata
«Non dobbiamo parlarne, se non vuoi. Ma è molto consigliato farlo»
«Parlare della mia famiglia? O dell'amore?». Oh, ecco. Quant'era stato stupido! Incontrollatamente, aveva sputato fuori quelle parole. Parliamo d'amore, parliamo d'amore dottore, e di tutti i suoi dolori.
Hannibal prese l'album dalle mani di Will
«Non credo che ti stia facendo bene, scavare nel mio passato. Hai dato un'occhiata, ora scaviamo nel tuo»
«Il mio fa schifo. Vorrei scambiare le nostre giovinezze e tutte le nostre esperienze»
«Scaricheresti a me tutto il dolore del tuo passato?»
«Lo scaricherei a chiunque, dottore. Purché non sia io».
Hannibal andò alla scrivania e mise a posto il vecchio album, delicatamente, come un padre che rimbocca le coperte al suo figlio neonato, poi tornò da Will. Si abbassò finché i loro occhi non si incontrarono. Will cercò di non balzare via e Hannibal allungò le braccia e lo cinse.
Will chiuse gli occhi. Il suo psichiatra lo stava abbracciando e tutto nella vita si sarebbe aspettato, tranne di sentirsi così al sicuro fra le braccia di un serial killer.
«Questa è una terapia per la tristezza, Will» disse Hannibal, al suo orecchio. La sua voce era una carezza dall'accento pastoso e in qualche modo remoto. «Sto stimolando le tue endorfine. Sei così pieno di astio e di amarezza, mi vedo costretto a prescriverti una terapia di abbracci. Te ne dovrai procurare tre al giorno da un essere umano e quattro da un cane. La terapia non è trattabile. Saprò se non ti sei fatto abbracciare e te li somministrerò personalmente».
“Sta zitto e continua ad abbracciarmi, coso cannibale” Pensò Will, abbandonando la faccia contro la spalla di Hannibal.
Quel contatto si interruppe troppo presto quando lo psichiatra lo lasciò, indietreggiò fino alla propria poltroncina e si sedette.
Will smise immediatamente l'espressione rilassata per nasconderla dietro un finto, ma molto ben simulato, disgusto. Hannibal alzò le sopracciglia
«Non trattabile. Prenderai le tue medicine, William Harris Graham»
«Non so come procurarmele»
«Inizia ad ingegnarti. Escogitare modi per farti abbracciare dalla gente terrà la tua mente occupata»
«Non credo che possa migliorare la mia socialità. O che possa far si che la gente voglia abbracciarmi»
«Funzionerà, Will. Ci sono passato prima di te. Molto, molto prima di te».
Will ne dubitava, ma non si poteva mai sapere con Hannibal: la sua vita era un folle ingarbuglio e a lui piaceva così, magari aveva davvero passato la prima parte della sua giovinezza a provare a farsi abbracciare dalla persone.
«Perché lo fai? Voglio dire, potresti lasciarmi cuocere nel mio brodo e prescrivermi degli antidepressivi e...»
«No, Will. Tu aiuti me e io aiuto te. Funziona così, quando si collabora».
Graham sapeva di star lavorando per incastrarlo e farlo incarcerare, non per collaborare con lui, ma annuì con aria seria e convinta.
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